“In quel momento avrei dovuto ringraziare il Ciccione per la sua gentilezza, riprendere la cartellina con il mio romanzo e ritornarmene di gran carriera nella tiepida solitudine del mio appartamento. Sono uno scrittore. Non Philip Marlowe. Non avrei dovuto accettare neanche una ricerca alla Biblioteca Nazionale. Ma da queste parti non esiste la professione di scrittore, il quale è costretto a fare qualsiasi cosa, tranne – naturalmente – scrivere, se vuole continuare a sopravvivere.”
Un manoscritto straordinario arriva in casa editrice. La redazione rimane incantata da quelle pagine magistrali e l’editore decide di inviarlo a una fondazione svedese. Anche loro concordano: è un capolavoro e va pubblicato subito. C’è solo un particolare che rimanda il lieto fine di questa fiaba letteraria. Il romanzo non è firmato e sulla busta non c’è il mittente. L’unico indizio è il timbro apposto dall’ufficio postale di Penuria, un paesino dell’entroterra uruguaiano. Entra così in scena il protagonista di Lascia fare a me, uno scrittore squattrinato al quale l’editore affida la delicata missione di rintracciare il misterioso autore in cambio di una lauta ricompensa. Ritmo vertiginoso, situazioni kafkiane e dialoghi all’altezza del miglior Woody Allen sono gli ingredienti di Lascia fare a me, uno dei libri più divertenti di un narratore inclassificabile e “raro” come Levrero.
Uno stile e una immaginazione come quella di Levrero sono rare nella letteratura di lingua spagnola. - Antonio Muñoz Molina