Un estratto di “Punto croce” di Jazmina Barrera

Pubblichiamo le prime pagine di Punto croce di Jazmina Barrera. La traduzione è di Federica Niola

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Verso mezzogiorno sono andata a lavarmi. L’umidità del bagno era fiorita sul soffitto, staccando la vernice e nutrendo una colonia di funghi, prima verdi e poi rossi, come nelle tortillas vecchie. È il genere di cose che nel primo anno e mezzo di vita di mia figlia ho lasciato correre, troppo stanca e impegnata per occuparmene, ma che ora cominciano a infastidirmi.

Ho sentito il cellulare che vibrava in camera. Non sono arrivata in tempo, era un numero sconosciuto e mi aveva lasciato un messaggio in segreteria. La voce grave, rotta come se le mancasse l’aria, diceva di essere Valentina, la zia di Citlali. Non era sicura che fosse ancora il mio numero, sperava di sì.

Sono triste da morire, diceva singhiozzando. È la terza volta che devo dare questa notizia e non trovo le parole. Citlali ha avuto un incidente ed è affogata. Il mare è infido, e pensa come può essere laggiù in Senegal. È tutto quello che so, per il momento. Siamo già in viaggio. Mi dispiace tanto, bambina. Lei ti adorava e so che anche tu adoravi lei.

Mi venne mal di testa come se mi avessero spaccato la faccia. Come se volessero succhiarmi il cervello dagli occhi e non riuscissi ad aprirli. Non so per quanto sono rimasta abbracciata all’asciugamano, seduta sul letto, cercando di piangere in silenzio per non farmi sentire da mia figlia e da suo padre. Nel mio cervello si dibattevano e si sovrapponevano immagini brevi e dolorose, come pipistrelli in una grotta: il volto di Citlali con le labbra blu; le mani che lottavano contro il mare; la bocca aperta, che inghiottiva acqua salata, il corpo che fluttuava tra le alghe, la schiuma e le bottiglie di plastica. Tutto mescolato alle risate e al canto acuto di mia figlia, che giocava con il padre a fare John Lennon e Paul McCartney. Faticavo a respirare.

A un certo punto il padre l’ha lasciata alle prese con un giocattolo ed è venuto in camera. Ma quale amica? mi domandava. Non la conosci, dicevo io, l’hai vista solo una volta. Quella del cane con la parvovirosi? No. Quella punk? L’ingegnera? La rossa che odia i bambini? Quella nuova che odia i bambini?

Ho sorriso, e solo a quel punto mi sono accorta che mi sanguinava il naso. Andrés è andato a prendere il cotone per fermare l’emorragia. Non avevo la forza di spiegargli chi era Citlali. Solo più tardi, solo la sera ho cominciato a provarci.

Il giorno dopo mi sono svegliata tardissimo e ho subito scritto a Dalia. Mi ha risposto qualche ora dopo. Ha scritto soltanto: L’ho saputo. Non sapevo che altro dirle e immagino neanche lei.

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Probabilmente siamo gli unici ancora abbonati al giornale e ogni tanto ci mandano un pacco di biscotti o ci telefonano per sapere se ci sono problemi con le consegne. Oggi ho letto un trafiletto su una donna trovata sul ciglio della strada a Izúcar de Matamoros. Il titolo diceva: “Tagliano i seni a una donna e la abbandonano sulla strada”.

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Citlali è quella che stava in Spagna? No, dico a Andrés, quella è Dalia, Citlali si spostava di continuo. Alla fine viveva in Brasile, ma viaggiava sempre, perché lavorava per quella ong ambientalista. Ah, sì, dice Andrés. E l’ho conosciuta? Era quella con i capelli neri, scura di pelle, con gli occhi verdi? No, quella è Dalia. Citlali aveva i capelli chiari e corti, magrissima. Quella che portava vestiti un po’ maschili? Sì, lei. E vi siete conosciute da bambine? Da adolescenti. Ma poi tu hai studiato con Dalia. Non nello stesso corso ma nella stessa facoltà. Sì, ora credo di aver capito.

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Decido di lasciare da parte il ricamo per mettermi a fare le telefonate. Da giorni mi sento in colpa perché le sto rimandando. Non so come riesco a ricamare pensando a Citlali senza pungermi le dita. Mi sono riproposta di cominciare oggi, anche se mi costa tantissima fatica. Da qualche parte ho una vecchia rubrica, dove potrebbero esserci i cellulari di alcuni amici delle superiori. Magari qualcuno ha ancora lo stesso numero.

Frugo nel cassetto più disastroso della mia scrivania, ma prima di trovare la rubrica mi imbatto in un altro taccuino, quello del viaggio in Europa, e mi siedo a sfogliarlo. Da quando è morta Citlali mi sento schiacciata dai nostri ricordi condivisi, perché non c’è più lei che mi aiuta a portarmeli dietro. Da molti, in realtà, perché alcuni li condivido con Dalia. Quel taccuino racchiude i ricordi di tutte e tre, foto e appunti sui luoghi che abbiamo visitato insieme, e una collezione notevole di spazzatura attaccata sui fogli: biglietti dei musei, della metropolitana, foglie secche, la carta di una gomma da masticare. Quelle pagine, quei pezzi di carta, quelle frasi contengono abbastanza informazioni per ricostruire e ricordare l’itinerario, pur sapendo che inevitabilmente ricorderò male, che ne inventerò la metà. Fa lo stesso.

Prima di tutto c’è un pezzo di biglietto dell’Air France, del primo volo senza le nostre madri e del primo volo di Dalia fuori dal paese. Quando suo padre, il classico essere disgustoso, se n’era andato di casa, si era rifutato di frmare i moduli per il passaporto e, nonostante i tentativi della madre per farglielo avere, solo allora, dopo il suo diciottesimo compleanno, sarebbe potuta andare fnalmente all’estero. Il viaggio era fnanziato dalle nostre zie, le nostre fantastiche zie lesbiche e senza fgli, che erano quasi seconde madri, ma con una disponibilità economica maggiore. Per i compleanni, per Natale e per il diploma ci avevano regalato abbastanza soldi da coprire i costi del biglietto e del soggiorno. Lo scopo del viaggio era andare a trovare Citlali, che stava in Francia da sei mesi. Poco prima del volo ci aveva mandato una mail dicendo che non mangiava da due giorni perché non aveva abbastanza soldi, e il viaggio era diventato urgente: andavamo a soccorrere la nostra amica, a salvarla e a riportarla indietro, mi proponevo, anche se quest’ultima era una ragione di disaccordo con Dalia.

I problemi economici di Citlali erano sopraggiunti quando aveva già comprato i biglietti del treno, per questo ci era sembrato incomprensibile che la mattina della partenza Citlali avesse mandato un’altra mail, quasi un telegramma, in cui diceva solo che non poteva incontrarci a Londra, che ci avrebbe raggiunto a Parigi la settimana successiva. Le avevamo scritto domandandole cosa fosse successo, se andava tutto bene, di ripensarci, le avremmo prestato i soldi per il soggiorno a Londra, ma in fondo sapevamo che non c’era niente da fare; Dalia e io avremmo girato Londra da sole e poi, se Citlali non fosse venuta a Parigi, saremmo andate nel paese della Provenza in cui si trovava.

 

Continua su: Punto croce, dal 1 giugno in libreria.

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